Discutere il ruolo del disegno

nella topografia sotterranea.

Maud Faverjon - Articolo per Speleologia


Quando si parla di esplorazione speleologica, disegnare mappe è quasi una banalità. Un atto scontato e necessario in un momento esplorativo. O per lo meno, così è stato per molto tempo. Disegnare mappe all’epoca degli scanner 3D, e altre tecnologie nate in questi anni, non è altrettanto scontato. Eppure, necessario lo è ancora. Ed è necessario, forse, anche chiederci perché disegnare sia tutt’ora cosi fondamentale in un mondo in cui basta schiacciare un tasto per registrare una quantità di dati che farebbe invidia a qualunque speleologo degli anni novanta. Ma proprio qui sta il nucleo della questione : questi strumenti permettono di raccogliere dati. Numeri, in quantità innumerevoli, che però hanno valore solo nel momento in qui vengono relazionati fra di loro, solo nel momento in cui dai dati si estrapolano le informazioni, dando senso alle misurazioni e creando grafici e schemi dal significato variabile che ci offrono una nuova visione dello spazio ipogeo. Perché fare un rilievo significa innazittuto estrapolare informazioni dal territorio, e i dati non sono altro che uno dei mezzi tramite i quali giungiamo a queste informazioni.



La mappa del tesoro

Pensate ad un bambino che disegna una mappa del tesoro : il tesoro è laggiù, in fondo al giardino, e tra il bambino e il suo tesoro, mille pericoli attendono. Il bambino prende un foglio e scarabocchia linee, disegna una croce rossa, qualche coccodrillo, e un percorso per evitarli. La sua mappa è imprecisa, le proporzioni non tornano, le misure non ci sono nemmeno, il giardino è irriconoscibile. Eppure, questa mappa è perfetta per la missione che le è stata assegnata. Grazie ad essa il bambino può trovare il tesoro ed evitare i pericoli.

Il fatto è che le mappe sono oggetti conoscitivi particolari, e la loro correttezza non si misura in base alla loro attinenza col reale che rappresentano, ma in base agli usi che ne facciamo. Le mappe sono corrette se trasmettono le informazioni di cui abbiamo bisogno. Questa costatazione porta con se conseguenze importanti. Significa che le mappe non sono oggetti statici validi in ogni situazione, ma tappe all’interno di un processo conoscitivo, e che quindi, per giudicarne il valore, occorre considerare anche le intenzioni che ne stanno alla base e gli usi che vi corrispondono. Non esiste una mappa assoluta, ne esistono semplicemente tante quante le intenzioni conoscitive diverse che si possono esprimere su un dato territorio. Nessuno si sognerebbe di usare la mappa del tesoro del bambino per studiare la composizione geologica del giardino. Eppure, la mappa del tesoro non è errata di per se, semplicemente, l’uso sarebbe incongruo rispetto alle motivazioni che giustificano le scelte operate dal bambino.



L’intenzione

Per realizzare un buon rilievo, in grado di trasmettere le informazioni di cui abbiamo bisogno, occorre quindi definire e convogliare un’intenzione specifica. In altre parole, bisogna attivamente volere comprendere la grotta per realizzare un rilievo che ci aiuti in questo compito. Ogni dettaglio deve essere frutto di una scelta operativa dettata da un’intenzione conoscitiva. Anche quando l’intenzione è un atteggiamento inconscio, l’operatività deve concedere lo spazio necessario all’attuarsi di scelte consapevoli. Non si creano informazioni raccogliendo passivamente grandi quantità di dati, ma scegliendo attivamente quali di questi dati ci è necessario per trovare il nostro tesoro. Occorre modellizzare il territorio, e, ancor più di questo, occorre farlo attivamente. Scegliere ed escludere gli elementi della rappresentazione, individuare e generalizzare sotto un simbolo unico fenomeni rincorrenti, decidere cosa sia importante e cosa lo sia meno.

Il disegno è lo strumento che ci permette di attuare questi processi. Disegnare ci costringe infatti a palesare un’intenzione, poiché, essendo il disegno un’astrazione segnica, non si può disegnare senza operare attivamente delle scelte nei confronti del reale.



Disegnare

Prendere la matita in mano quando ci troviamo in grotta, immersi nello spazio ipogeo, è fondamentale per comprendere lo spazio e raccontarlo. Laggiù, nei meandri di cavità complesse, il topografo guarda lo spazio che lo circonda con un occhio nuovo nel momento in cui intende disegnarlo. Ci si ritrova costretti ad operare delle scelte. Si riconoscono delle forme, individuano elementi noti, formazioni rocciose che hanno un significato specifico : qui l’acqua è passata in forza, qui la roccia si è fratturata, laggiù tira aria. Scarabocchiamo un simbolo, perché abbiamo riconosciuto questa manifestazione come qualcosa di famigliare, enfatizziamo quell’aspetto, e nel fare ciò, ne escludiamo altri. Astraiamo cosi un dato sensoriale in un concetto, generalizzando un singolo fenomeno mentre riconosciamo la sua appartenenza ad un pattern ricorrente. Nel scarabocchiare quelle linee creiamo un linguaggio in grado di raccontare ben più di quanto possano farlo le sole misurazioni.



Ognuna di queste scelte è inevitabilmente legata a quell’intenzione iniziale che ci ha spinto, dapprima ad entrare in quella grotta, ad esplorarla e poi a farne il rilievo, per intendere quel luogo e relazionarlo al suo contesto. Ognuna di queste scelte contribuisce alla creazione di un modello della cavità, ovvero una versione ridotta della realtà, che, proprio perché ridotta diventa una mappa efficace che ci permette di trarre conclusioni e trovare i nostri tesori. Poiché la mappa, vera e propria rappresentazione simbolica del mondo, non solo è la risultante di una conoscenza acquisita, ma, proprio come ogni modello scientifico, è un oggetto ridotto, interpretativo e predittivo, una struttura all’interno della quale intendere e sviluppare le nostre teorie, applicarle al reale ed eventualmente, forte di una nuova comprensione, proseguire oltre verso nuove esplorazioni.


Se non avessimo preso in mano la matita, nulla di tutto ciò sarebbe avvenuto. Non avremo davanti ai nostri occhi una mappa. Ma solo un compendio impressionante di dati, da cui ogni informazione deve ancora essere estrapolata. La mappatura 3D di una cavità può rivelarsi molto utile se da questi dati creiamo modellizzazioni, ma è essenziale ricordarci che i dati da soli hanno scarso valore, poiché non astraendo ne modellizzando il mondo, non recano conoscenza di per se. Si tratta solo di uno strumento, indubbiamente utile, ma ogni volta che ci illudiamo di aver finito il lavoro portando fuori dalla cavità una scansione operata passivamente dall’occhio neutro di un apparecchio, amputiamo un processo di conoscenza, e ci priviamo, di conseguenza, da esplorazioni e scoperte possibili.

Magari un domani possederemo algoritmi in grado di modellizzare un territorio sulla base di intenzioni specifiche preimpostate. Ma intanto, provate a dare ad un bambino la foto satellitare del vostro giardino : scommetto che non saprà trovarci il tesoro.

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Maud Faverjon